Si premette che il nuovo rito di famiglia, introdotto dalla cd. Riforma Cartabia (D. Lgs. 149/2022), ha abolito l’udienza presidenziale.
I cd. provvedimenti temporanei ed urgenti sono comunque rimasti, ma semplicemente vengono assunti direttamente dall’organo giudicante alla prima udienza di comparizione personale delle parti.
Ciò premesso, una recente pronuncia della Corte di Appello di Roma – sez. persona e famiglia – emessa il 17.3.23, è stata l’occasione per chiarire come in sede presidenziale, malgrado la sommarietà di detta fase, il giudice del divorzio non debba appiattirsi su provvedimenti provvisori che siano la fotocopia di quelli di separazione, adottati talvolta anche molti anni prima, bensì debba tener conto dei mutamenti portati alla sua attenzione.
Nel caso specifico, un coniuge, che lavorava e percepiva un lauto stipendio, in sede di separazione si era obbligato consensualmente a versare la cifra X alla moglie che non lavorava.
Andando poi a divorziare, dopo molti anni, aveva addotto di essere andato in pensione e che la moglie durante la separazione avesse lavorato per alcuni anni, accantonando risparmi.
Tuttavia, in sede di udienza presidenziale, il Tribunale di Roma aveva confermato la misura dell’assegno provvisorio con identico ammontare della separazione.
Reputando l’ordinanza ingiusta, veniva proposto reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, essendo questo lo “strumento di riesame e di controllo della correttezza della pronuncia, che consente di censurarne profili di eventuale manifesta erroneità sulla base del medesimo materiale vagliato dal primo giudicante”.
La Corte riesaminava il materiale precedente, chiaramente escludendo le circostanze sopravvenute nelle more del reclamo, non essendo consentiti ampliamenti del materiale probatorio.
In particolare, la Corte considerava: “la riduzione del reddito del reclamante, documentato in atti, a seguito del collocamento a riposo all’età di 65 anni (non, dunque, in età particolarmente anticipata) e della dismissione dell’incarico di procuratore della società datrice di lavoro, come pure l’acquisto iure hereditatis in capo alla controparte di cespiti immobiliari messi a reddito”.
Ancor più la Corte valorizzava “la avvenuta conoscenza dello svolgimento per molti anni, da parte della coniuge, nel periodo successivo alla separazione, di attività lavorativa, senza che il coniuge ne avesse avuto notizia, che le ha consentito di cumulare l’importo dell’assegno con quello della retribuzione e di effettuare accantonamenti”.
In sede provvisoria tali mutamenti, almeno sommariamente, avrebbero dovuto essere considerati.
Così il coniuge attraverso il reclamo otteneva un provvedimento provvisorio più equo: la Corte d’Appello dimezzava l’assegno provvisorio di mantenimento alla coniuge, non azzerato per il semplice fatto che costei nel frattempo era rimasta di nuovo priva di occupazione.
Trattasi chiaramente di provvedimento provvisorio, destinato a perdurare, salvo futuri mutamenti delle circostanze, fino alla definizione del giudizio dinanzi al Tribunale, che dovrà stabilire la spettanza o meno alla coniuge dell’assegno divorzile.
Dalla pronuncia in esame si ricava che un coniuge separato, il quale dopo molti anni decida di divorziare e siano nel frattempo intervenuti mutamenti, non possa essere obbligato in via provvisoria a versare all’altro, per tutto lo svolgimento del divorzio, la stessa cifra stabilita con la separazione consensuale.