Con sentenza n. 18814 del 4.7.2023 la Cassazione civile Sez. II ha dovuto riesaminare la legittimità di una sentenza con la quale una sorella era stata condannata a restituire una somma ai fratelli, a seguito dell’accertamento della lesione della quota di legittima in ordine all’eredità della madre, per effetto delle donazioni presuntivamente ricevute in vita durante la loro convivenza, durata 24 anni.
In primo grado c’era stata una Consulenza Tecnica d’Ufficio che aveva ricostruito i redditi pensionistici percepiti dalla de cuius dal 1981 al 2005 (pari a circa Euro 1.000,00 mensili) con i quali la stessa avrebbe “partecipato alle spese della figlia con la quale conviveva per il vitto e le medicine“.
Ricostruite le condizioni di vita della de cuius, la Corte di L’Aquila aveva desunto dalla mancata risposta all’interrogatorio formale che la madre coadiuvasse la figlia convivente nelle attività domestiche e le “donasse periodicamente denaro” ed ha condiviso la presunzione raggiunta nel primo grado, secondo cui solo 60% dei redditi percepiti fosse impiegato per il suo mantenimento e la cura della sua persona, risparmiando il residuo 40%.
Esclusa la riconducibilità della complessiva somma a donazione remuneratoria o ad obbligazione naturale, la Corte d’Appello aveva considerato che tali risparmi avessero dato luogo ad un “complesso di donazioni lesive della quota di riserva“.
Riesaminato il caso, la Suprema Corte ha invece ritenuto decisiva per il giudizio proprio la convivenza di lungo corso fra la de cuius e la ricorrente, tale da impedire ontologicamente la configurabilità di una donazione, atteso che gli apporti dei conviventi, lungi dal costituire donazioni, si concretano in conferimenti vicendevoli.
Difatti, in caso di asserita lesione della quota di legittima, ed ai fini dell’obbligo di collazione tra i soggetti indicati dall’art. 737 c.c., come in caso di esercizio dell’azione di riduzione verso il coerede donatario, rilevano le donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius.
Tuttavia, a norma dell’art. 742 c.c., non sono comunque soggette a collazione, tra le altre, le spese di mantenimento e di educazione, quelle sostenute per malattia, quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze, né le liberalità d’uso.
Sono, viceversa, soggette a collazione le donazioni di modico valore fatte da un genitore ad un figlio, non operando al riguardo l’eccezione delineata per il coniuge dall’art. 738 c.c. (Cass. n. 2700 del 2019).
Il presupposto dell’obbligo di collazione è, dunque, che il coerede ad esso tenuto abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalità dal de cuius, direttamente o indirettamente tramite esborsi effettuati da quest’ultimo.
Pertanto la corte ha ritenuto non soggette a collazione né alla riduzione a tutela della quota riservata ai legittimari, le attribuzioni o elargizioni patrimoniali senza corrispettivo operate in favore di persona convivente (nella specie, si assume, fatte dalla madre, morta a 98 anni, in favore della figlia con lei unica convivente nel corso di ventiquattro anni), ove non sia stato accertato che le stesse fossero state poste in essere per spirito di liberalità, e cioè con la consapevole determinazione dell’arricchimento del beneficiario, e non invece per adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza.
Pertanto, sulla scorta della sentenza in commento, al fine di ravvisare presuntivamente la sussistenza di plurime donazioni di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente, soggette all’obbligo di collazione ereditaria ed alla riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari, tratte dalla differenza tra i redditi percepiti dalla de cuius durante il periodo di convivenza e le spese ritenute adeguate alle condizioni di vita della stessa, occorre considerare in che misura tali elargizioni possano essere giustificate dall’adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale, e dunque accertare (non solo presumere) che ogni dazione sia stata posta in essere esclusivamente per spirito di liberalità.