La Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite Civili con la sentenza N. 36197/2023 pubblicata il 28.12.23 ha posto fine ad un contrasto che si era venuto a creare nella giurisprudenza degli scorsi anni in merito alla decorrenza della prescrizione dei crediti da lavoro.
Difatti, negli ultimi anni si era formato un filone giurisprudenziale secondo cui il lavoratore, fintanto che il rapporto lavorativo continuava, non fosse penalizzato dal termine prescrizionale, perché per eventuali differenze retributive o altri crediti maturati in costanza di rapporto il termine quinquennale era da ritenersi sospeso, dovendo decorrere solo dalla cessazione del rapporto.
La ragione si rinveniva nelle riforme che avevano mutato la geometria delle tutele contro i licenziamenti illegittimi e nel connaturato timore del lavoratore subordinato di subire conseguenze ritorsive se avesse avanzato richieste (es. differenze retributive) durante lo svolgimento del rapporto lavorativo.
Per effetto di ciò, nel privato la prescrizione quinquennale rimane sospesa durante il contratto di lavoro e inizia a decorrere solo se e quando esso cessa.
Il risvolto pratico è molto favorevole per il dipendente, perché garantisce una tutela maggiore e più effettiva per il lavoratore, che così può quantificare le proprie richieste senza limiti di tempo e senza perdere neanche un’annualità.
Ciò, tuttavia, ha in seguito dato origine ad alcune pronunce che hanno esteso tale principio anche ai rapporti di impiego pubblico, in virtù della loro equiparabilità.
Con la recentissima pronuncia delle SS.UU. ciò non è più possibile per i dipendenti pubblici, né per i rapporti contrattualizzati né per quelli a tempo indeterminato, pertanto devono formalizzare le loro richieste entro 5 anni dal sorgere del diritto anche in costanza di svolgimento del rapporto lavorativo.
Le Sezioni Unite ritengono che il rapporto di pubblico impiego goda di maggiori garanzie di stabilità che lo pongono al riparo da licenziamenti illegittimi e quindi ciò riduce fortemente il timore per il lavoratore di licenziamenti ritorsivi.
In particolare, la citata sentenza richiama l’art. 97 della Costituzione, secondo cui il dipendente pubblico sarebbe tutelato dal principio costituzionale che impone di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Si tratta di motivazioni forse un po’ deboli e discutibili, tanto che detta sentenza prevede la compensazione delle spese di lite (ossia nessuna condanna per il lavoratore che faceva valere le proprie pretese in misura maggiore e ben oltre il termine prescrizionale), ma tant’è e bisogna prenderne atto.